Il tempo della luce

Attesa
Il tempo della luce

Il tempo della luce

Salgo a Venezia, torno a casa. 

Di solito metto la sveglia ma oggi no, quest’ora in treno la voglio passare in modo diverso. É da un’anno che non prendo il treno e non posso dormire, è un’anno che dormo. Oggi guardo fuori, guardo chi si siede accanto a me, guardo la donna con la carrozzina, guardo la nonna con la nipotina sul finestrino, guardo l’unico dinosauro non ancora estinto leggere il giornale.
Il treno parte, mi giro e cerco l’angolo migliore per guardare le luci sulla laguna.
Passato il ponte anch’io butto un’occhio alle notizie tenendo la testa china.
Penso che sembriamoo proprio un branco di penitenti, tutti con la candela tra le mani a confessare i propri peccati al dio tecnologico, il dinosauro invece sta lì in fondo e sfoglia il giornale seduto dritto.

Il treno prosegue lungo il suo tragitto e raccoglie nuova gente.
Sollevo lo sguardo e dentro questa carrozza multietnica scopro una natura morta, chi seduto, chi in piedi o con la schiena appoggiata sulle finestre, la carrozza è una stanza.
Siamo corpi, corpi che si sfiorano senza mai entrare in contatto, ognuno al proprio posto, ciascuno dentro la propria testa, siamo pezzi di una composizione, chi davanti chi in fondo, siamo manichini accarezzati dalla luce calda e tenue di un tardo pomeriggio primaverile.
Capisco che la bellezza in questa giornata qualunque sta nella luce, quella luce che illumina questa natura morta, quella luce che illumina i nostri corpi, quella che ci rende vivi.
Se l’attesa è avere fede, lasciamoci guidare dalla luce,
se l’attesa è tempo, sia la luce a governarlo
se l’attesa è cammino, scegliamo insieme quale stella seguire. 

L’attesa è per me luce, candela che si consuma, tempo per capire, luce per fermarsi e guardare. Luce che si manifesta negli occhi, sulla pelle, in uno sguardo che comunica la gioia. Attesa che illumina piccoli gesti come quello di una mano che sfiora la guancia di una nonna, di un sorriso alla nipotina seduta in questo treno, treno che ora lascierò.

Francesco Da Ros

Foto: Diletta De Bortoli